Balarm Magazine

Il DISCORSO DI MARCA
NEL NUOVO LIBRO DI GIANFRANCO MARRONE UN “DISCORSO SUI SEGNI” CHE NELLA BABELE QUOTIDIANA DELLA COMUNICAZIONE DI MASSA CI UNISCONO E CI METTONO IN RELAZIONE
di Francesco Mangiapane

“Palermo è una città che vive di segni”, questa frase fra i commenti di rosalio.it mi ha molto colpito, mi è sembrata rivelatrice. È vero, Palermo ha sempre vissuto di segni che ne hanno costituito l’identità, l’hanno presentata al mondo. Il mio pensiero non può non andare alla mafia, che per tanti anni di Palermo è stata il marchio, infame. Il sangue dell’ultimo cadavere ammazzato per strada, così come il logo con il burattinaio del “Padrino”, si sono trasformati in vessillo di un’identità, tanto ingiusta quanto necessaria, pronta a varcare i confini della città ed a diffondersi in lungo e in largo. Allo stesso modo, Palermo è una città che vive di segni, nell’albero Falcone, nelle manifestazioni antimafia partecipate, che hanno dato il senso del riscatto, che hanno dato la misura della voglia della città di liberarsi dalla mafia. Ancora più radicalmente, Palermo è una città che vive di segni con la sua sfrontatezza semiotica, con la sua consapevolezza di quanto i segni siano manipolabili, ecco allora che negli anni ’90 si organizzano le sfilate di moda con “la coppola” trasformata da segno negativo in segno positivo grazie ad un’astuta campagna di comunicazione.
Chiaramente Palermo sa bene, come quel personaggio di Vonnegut, che “noi siamo quel che facciamo finta di essere” lo ha imparato a sue spese, lo ha imparato da Sciascia e Pirandello. Non è un caso che questa città negli anni sia diventata una delle capitali internazionali per lo studio della semiotica, la disciplina dei segni, la disciplina dei simulacri, di “ciò che facciamo finta di essere”. A Palermo, già dagli anni ‘60, si sono succeduti alcuni tra i più importanti studiosi del linguaggio e della comunicazione, creando una consuetudine di studio, una vera e propria scuola, ancora oggi viva e vegeta. Proprio dalla scuola di Palermo viene il nuovo “Il discorso di marca”, appena uscito per i tipi di Laterza a firma di Gianfranco Marrone, ordinario di semiotica all’università di Palermo e presidente dell’associazione italiana di studi semiotici.
Il libro è importante da diversi punti di vista. Prima di tutto perché rappresenta una punta di eccellenza della ricerca italiana nel campo della marca, presentando un modello di analisi completo ed efficace per spiegarne il meccanismo di funzionamento. Fosse solo questo, però, il libro potrebbe essere catalogato fra i libri specialistici, rivolti a chi si occupa di marketing o lavora nella pubblicità. Ovviamente il libro, utile per pubblicitari e marketer, è molto di più. Riflettere sul brand, secondo l’autore, significa ripensare un fenomeno semiotico potente e pervasivo, un “discorso” che, nel bene e nel male, unisce, mette in relazione: se è vero che “Palermo è una città che vive di segni”, come poco fa si diceva, è anche vero che ogni città, ognuno di noi, vive di segni, entra in relazione con l’altro attraverso i segni che nella babele quotidiana della comunicazione di massa costruiscono il “senso comune”. Di questo senso comune, del modo in cui esso può essere indagato, descritto, il libro vuole occuparsi, scegliendo, magari anche provocatoriamente, il punto di vista trasversale dalle marca, croce e delizia dei nostri anni, simbolo di successo e icona cui puntare il dito per indicare i mali della globalizzazione.
Ecco perché “il discorso di marca” non ha nulla a che fare con i “miracoli spiccioli” promessi dalla letteratura di marketing sul tema, e nemmeno assume i toni apocalittici di denuncia delle “malefatte” delle multinazionali globalizzate. Al contrario, prova a costruire un modello di spiegazione del fenomeno del brand che taglia trasversalmente ambiti di pertinenza molto eterogenei accomunati tutti dall’essere nodi sensibili del nostro strare al mondo: politica, comunicazione pubblica, ma anche mass-media, pubblicità e comunicazione visiva.
Il discorso, in questo scenario, può essere pensato come minimo comun denominatore di questa eterogeneità: ci chiama, ci include nel circo della “grande conversazione” sociale.
Ancora dal lavoro della scuola di Palermo, arriva il tentativo forte di superare il logoro meccanismo degli “stili di vita”. I consumatori (ma anche gli elettori!) sono sempre meno incasellabili e catalogabili per profili i cui comportamenti di consumo siano facilmente prevedibili, tanto meno sono disponibili a sposare in toto la proposta identitaria del brand. Il libro, a questo proposito, propone una direzione, utile tanto al manager quanto al semplice cittadino, per navigare nella complessità dei nostri anni: riferirsi alle “forme di vita”, all’atto fondamentale di tradimento rispetto al sistema costruito dalla marca. Tradire la marca diventerebbe così un modo per affermare la propria identità, la cui logica di costruzione è non tanto l’omologazione, come propagandato, quanto il patchwork, il bricolage, il continuo aggiustamento nella vonneguttiana consapevolezza che “noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicché dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere”.

SCARICA LA RIVISTA CON L’ARTICOLO ORIGINALE CLICCANDO QUI.


Template: Derek Punsalan
Personalizzazione: Francesco Mangiapane

Sito web valido: XHTML 1.0 Transitional