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Lucio Spaziante, Tendenze e semiotiche di marca.
Recensione di “Il discorso di marca” (Marrone), “Hot spots” (Ceriani), “Leggere le tendenze” (Proni)

La marca è un fenomeno di natura eminentemente semiotica a partire dal fatto che ad un atto di costituzione tra una configurazione espressiva ed una di contenuto, quale è ad esempio il marchio (momento di marchiatura fisica, come racconta un’accezione del termine inglese brand, dunque segno di riconoscimento e incisione di una traccia) si associano strategie commerciali, identitarie, valoriali e di costituzione di fiducia e credenze. Il discorso della marca (Bari, Laterza, 2007) di Gianfranco Marrone descrive il processo del branding sin a partire dalla sua descrizione e costituzione ontologica. “Si è qualcosa se si è di qualcuno”. Il marchio è in primo luogo un’operazione di spostamento e di delega tra soggetti ed oggetti che serve a: distinguere un oggetto tra altri; a collegarlo ad un’istanza soggettiva di messa in discorso; a definirne i contorni identitari per definizione di proprietà intrinseche e per trasferimento di proprietà altrui; a stabilire in modo preciso i patti e le aspettative tra i soggetti che sono parte della marca e coloro che se ne servono socialmente, osservandola, adoperandola, criticandola, appropriandosene.
Dunque l’universo della marca rappresenta un meccanismo tipicamente semiotico che si compone di un accordo sociale e della fissazione di una espressione anche minima e condensata, come ad esempio un logo, dai quali diparte un processo di espansione semantica, potenzialmente illimitata quanto socialmente efficace, che sovente vede invertire, o è in grado di far saltare, le gerarchie di valore tradizionali: il “commerciale” diviene più estetico dell’“estetico” oppure è il prodotto di culto come l’iPod a diventare il traino del marchio Apple e non viceversa. Il taglio che il libro propone è quello di una “semiotica per la marca”, ovvero sceglie di selezionare aspetti della semiotica, o meglio di riorientarla, per offrire uno strumentario semiotico utile a chi lavora nell’ambito della marca. In questo si ricollega ad un precedente esempio che già nel titolo di Semiotica “al” marketing (R. Grandi, a cura, Milano, Franco Angeli, 1994) si proponeva come un avvicinamento operato dalla ricerca semiotica verso, in quel caso, la più ampia pratica lavorativa e consulenziale del marketing.
Il libro di Marrone propone una esauriente disamina della letteratura che ha visto la semiotica incrociare, in modo più o meno diretto, la questione della marca con autori come Roland Barthes, Jean Marie Floch, Ugo Volli, Eric Landowski, Andrea Semprini, Giulia Ceriani, Guido Ferraro.
Dal punto di vista metodologico, e più “internamente” semiotico, va sottolineato come il supporto del tema della marca cui il libro è dedicato, faciliti continue procedure di esemplificazione e complessificazione particolarmente adatte a mostrare la semiotica al proprio esterno e assieme a superare quei rischi di ermetismo terminologico e compiacimento metalinguistico che talvolta affliggono la disciplina. Marrone tramite i corpora analizzati compie un continuo relais tra concetti metodologicamente complessi e forme di esemplificazione, in un processo di costante chiarificazione immediata che suggerisce inoltre un altro livello di lettura. Il libro è strutturato di fatto come un manuale di semiotica del testo molto comprensibile, che presenta una rilettura delle problematiche semiotiche offerta tramite lo sguardo della marca, sebbene non tralasci alcun aspetto dell’impianto teorico della semiotica del testo di scuola strutturale e generativa, anzi arricchendolo di elementi di aggiornamento.
L’operazione di sintesi disciplinare, e assieme di riorientamento divulgativo verso un ambito specifico, porta implicitamente con sé anche la trattazione di uno “specifico”, ovvero di quella “semiotica della marca” che l’autore aveva già affrontato in precedenti pubblicazioni e che qui prende una forma più ampia e conchiusa, facendo emergere nuove proposte metodologiche, in particolare nel 4° capitolo. Tra queste, una tipologia dei discorsi di marca costruita sull’opposizione tra logiche soggettivanti e oggettivanti, in prima istanza debitrice del lavoro di Floch, poi correlata ad una riconsiderazione della questione dei generi e degli stili, la quale funge da finestra per affrontare la relazione tra sociale ed individuale. Marrone ci porta a intendere la marca come luogo del discorso sociale in cui riappare anche la dimensione dell’autore, storicamente denegata e criticata come dissolta, e che invece, come in questo caso, si vede riemergere in luoghi imprevisti. Le logiche intertestuali di appropriazione testuale del lavoro altrui, le firme e le griffes, sono solo alcuni esempi eterogenei di un fenomeno più ampio che secondo Marrone vede la marca riempire ed occupare lo spazio lasciato vuoto da valori ed ideologie . È questo il motivo per cui ambiti culturalmente disparati, dai media alla discografia alla letteratura, sono dominati da logiche di marca e dalla tendenza a costituirsi come “entità ibride” tra il reale e il discorsivo. È ciò che conduce, inloltre, ad allestire appositi apparati mediatici allo scopo di sostenere un autore-marca con le sue infinite declinazioni e filiazioni testuali.
Un altro aspetto sottolineato da Marrone è la natura intrinsecamente metalinguistica della marca insita nel suo “parlare discorsi altrui” per poi riportarli al proprio interno. Si potrebbe dire che la marca parla come, e di ciò di cui, si parla. Si tratta inoltre di un territorio nel quale di continuo si discute della legittimità dei discorsi sociali e dei suoi confini, i quali la marca stessa contribuisce a ridisegnare. Nel momento in cui l’esistenza di sistemi predefiniti del discorso e del vivere sociale viene posta in questione, si pone in discussione anche l’esistenza di un’unica logica del senso, basata su modelli antropologici statici ed universali. Marrone, come altri studiosi contemporanei di semiotica, suggerisce di affrancarsi per questo da un’idea di narratività schematica su cui pure si sono basate molte analisi in questi anni di applicazione semiotica al discorso pubblicitario e di marketing. La proposta, in linea con tendenze comuni nelle scienze umane, è quella di guardare a forme di soggettività e di esperienza maggiormente legate all’affettività, all’estesia, alla corporeità, ovvero verso l’ambito delle forme di vita e dei ritmi di trasformazione dei comportamenti sociali. Vedremo che questo stesso ambito risulta centrale oltre che per l’universo della marca, anche per quello delle tendenze su cui si soffermano altre due recenti uscite editoriali.
La prima è Hot spots e sfere di cristallo. Semiotica della tendenza e ricerca strategica di Giulia Ceriani (Milano, Franco Angeli, 2007) dove si propone un ulteriore sforzo di avvicinamento e supporto utile a collegare l’ambito della ricerca di base con quello della pratica e della strategia aziendale. In questo caso si tratta della leggibilità e prevedibilità delle tendenze socioculturali attraverso la semiotica. Il libro di Ceriani assume un punto di vista che condensa lo sguardo semiotico disciplinare e l’azione sul campo di chi ha partecipato alla realizzazione di numerosi osservatori sulle tendenze. In questo senso si propone una metodologia semiotica alternativa ai modelli sociologici di descrizione e anticipazione dei trend, e assieme si offre una descrizione empirica del metodo di lavoro di un operatore del settore.
Descrivere e definire una tendenza per Ceriani significa individuare un microuniverso emergente “capace di far convergere verso di sé atteggiamenti e comportamenti”. Può essere intesa alla stregua di una forma di vita, nozione già ricordata, nella quale si rilevino, cioè, scarti e rotture rispetto ad usi e consuetudini standard. La tendenza risulta una concatenazione di testi, pratiche ed azioni che assume una propria coerenza interna e che viene valorizzata positivamente al punto tale da definirsi come modello da seguire. Non si tratta perciò di un semplice fenomeno superficiale di costume, bensì di una visione che definisce ritmicamente le trasformazioni dei comportamenti sociali sulla base di meccanismi regolativi che poggiano su logiche di alternanza, saturazione, desaturazione. La semiotica fornisce qui la possibilità di pensare alle trasformazioni dei comportamenti sociali nella chiave peculiare di varianti e invarianti mitiche e strutturali. Si individuano configurazioni di superficie che mutano per garantire la necessità del ricambio e dell’alternanza, ma alla base vi si rilevano elementi ricorrenti, astratti, profondi e concettuali che garantiscono continuità e riconoscibilità. Ad esempio, nell’analizzare il corpus degli spot premiati a Cannes 2001, Ceriani indica il modo in cui materiali totalmente differenti tra loro presentino una comune relazione figura/sfondo. In questo modo emerge una categoria concettuale dirimente che contraddistingue il criterio di selezione da parte della giuria. Ecco uno dei modi per cogliere una tendenza laddove si potrebbe rilevare solo una totale eterogeneità. Tra l’altro, secondo l’autrice, le vere tendenze di là da venire restano spesso nascoste tra le pieghe di trend dominanti, i quali presentano però già al loro interno processi di saturazione che annunciano il loro imminente declino. Il fenomeno delle tendenze per Ceriani non va pensato solo allo scopo di poterle individuare e seguire bensì per costruirle ed anticiparle, rimarcando così una nuova vocazione al progetto, tradizionalmente assente in semiotica, e attualmente, invece, molto sentita, soprattutto da chi si confronta con la realtà delle consulenze e delle ricerche di mercato le quali più che ai problemi del passato sono interessate alle soluzioni future. Una tendenza stavolta interna alla stessa semiotica la possiamo allora cogliere nella tensione verso un’integrazione più marcata con altri sguardi disciplinari, come ad esempio quello etnografico. Quest’ultimo risulta particolarmente utile, come vedremo successivamente, nel leggere fenomeni quotidiani e complessi nella loro evenemenzialità (cfr. anche il recente Marsciani, F., Tracciati di etnosemiotica, Milano, Franco Angeli, 2007),
Il “mapping semio-etnografico” proposto da Ceriani è infatti la base per l’inviduazione di scenari, operata sulla base di una raccolta-dati effettuata attraverso fonti disparate: “cacciatori” di trend di strada, ricognizione sul web, monitoraggio dei media, report su eventi culturali e commerciali. Lo scopo finale è quello di intercettare novità, emergenze, attraverso l’individuazione di tratti profondi da trattare semioticamente, cogliendone ritmi ed aspettualità e trattando il tutto attraverso uno sguardo che operi per differenze. Anche l’immaginario di marca viene analizzato individuando gli scenari in cui questi singoli racconti vanno ad inserirsi e le potenzialità attraverso cui possono evolvere nel tempo ed eventualmente riposizionarsi.
La proposta di Giulia Ceriani, con il suo portato semiotico modellistico e metodologico, si ritrova anche in Leggere le tendenze. Nuovi percorsi di ricerca per il marketing, a cura di Giampaolo Proni (Milano, Lupetti, 2007), libro nel quale viene presentato dal curatore un ampio panorama sullo stato attuale degli approcci della ricerca e della consulenza nel campo dell’analisi delle tendenze. Dall’insieme degli interventi si ricava l’idea che i diversi approcci, che dal punto di vista accademico vengono separati in steccati disciplinari, nella pratica di ricerca tendano invece, come già sottolineato, ad una integrazione. Una modalità che viene indicata per riuscire a cogliere la rapida mutevolezza dei cambiamenti sociali che, come emerge dalle diverse parole degli autori, si mostrano di difficile lettura rispetto a quanto ci raccontavano i precedenti modelli. Il consumo, ormai da anni, si dice che presenti dinamiche poco lineari e descrivibili in modo deterministico: Stefano Gnasso, ad esempio, ci racconta dell’insoddisfacenza dei modelli sociodemografici e psicografici e della staticità della nozione di “stile di vita”. Le identità sociali deboli e mutanti, poco incasellabili rispetto a ciò che si credeva, risultano tali anche nei comportamenti di consumo. La risposta del marketing è stata quella di virare verso la dimensione “esperienziale” dove si ricerca un’emozione ed un reale contatto con il consumatore, e assieme si valorizza enormemente la funzione dell’ascolto e del feedback, in particolare del contesto di mercato nel quale si va ad operare. Lo scopo è quello di costruire personalità di marca sufficientemente credibili e forti da poter interagire nei propri territori, senza pretendere di poter segmentare in modo del tutto controllato l’universo dei consumatori. Una simile presa in carico della dimensione estesica si ritrova anche nelle parole di Linda Gobbi e Francesco Morace i quali definiscono “economia dell’occhio” quel modo superato di intendere il consumatore come unicamente inserito in dinamiche debitrici dell’immagine, della distanza e dell’apparenza. Occorre, a loro parere, conferire un rinnovato valore al luogo, all’esperienza tangibile, alimentare, tattile, olfattiva, laddove il corpo assume una dimensione centrale, e dove la dimensione relazionale diventa prioritaria. Dalla lettura di Gobbi e Morace emerge anche come la semiotica venga considerata corresponsabile di un’eccessiva attenzione alla dimensione narrativa e simulacrale, elemento che avrebbe offuscato la capacità di cogliere la dimensione sensibile nel consumo. Se ciò può essere in parte effettivamente accaduto, nelle pagine di Marrone precedentemente trattate riguardo a questo tema, si attesta un cambiamento di atteggiamento avvenuto anche all’interno della semiotica. Dal saggio di Giampaolo Proni, poi, che propone anch’egli un’impostazione semiotica del problema, rileviamo come i modelli di descrizione delle tendenze possano fare riferimento ad alcune macro-configurazioni, che del resto vediamo ricorrere anche in altri modelli proposti nella raccolta: una dimensione temporale, fatta di costanti, curve e cicli; una dimensione sintagmatica fatta di trasversalità e settorialità; figure metaforiche, come l’organismo biologico e la metamorfosi; dinamiche profonde come il conflitto ed il gioco, così come l’insistenza su elementi di creatività e assieme di predittività.
Di fatto le diverse voci del libro riportano ed esemplificano i modelli e le metodologie di ricerca affinati e assemblati all’interno dei singoli istituti o società di ricerca: nel saggio di Fulvio Carmagnola e Giovanni Lanzone ritroviamo di nuovo un metodo di matrice etnografica, con elementi di semiotica. Qui, attraverso l’uso di mappe derivanti dall’osservazione partecipata, dal lavoro desk e dal controllo reciproco, si elaborano tendenze macro-culturali che scaturiscono dall’accostamento di fenomeni anche molto diversi, e che poi vengono incrociati e posti in relazione tra loro, senza predeterminare gerarchie ma lasciando che le polarizzazioni emergano da sé. Si tratta di descrizioni indiziarie di tendenze culturali lette (lotmanianamente) attraverso una dinamica centro / periferia: un esempio significativo è quello del ghosting, ovvero una posizione minoritaria definita di “interferenza culturale”, né radicale né comunitarista, basata invece sull’essere socialmente invisibili ma sotterraneamente attivi, che dagli autori è identificata e resa riconoscibile tramite la figura del Ghost Dog, dall’omonimo film di Jim Jarmusch del 1999.
L’osservazione partecipata è implicitamente contenuta anche nella proposta metodologica di Roberta Renzoni che, tra altre indicazioni, propone l’esempio del target giovanile come un segmento in continua mutazione per cui ogni “fotografia” fatta risulta già vecchia. Per questo motivo, trovare nuove forme di dialogo si rivela determinante per attivare rilevazioni di dati inconsuete, ad esempio semplicemente passando del tempo assieme, o proponendo una visione condivisa di The Blair Witch Project (Myrick, Sánchez, 1999) per ragionare sul tema della paura. Accostare ambiti eterogenei, guardare la strada dalla strada, adoperare forme narrative e mediatiche come il cinema per agganciare e leggere la realtà, appaiono essere la tendenza dominante nel mondo dell’analisi delle tendenze.
La capacità di saper osservare attraverso modalità di sguardo non predeterminate è, in conclusione, un’indicazione utile per la semiotica, poco abituata a problematizzare il modo in cui un analista o un ricercatore guardano l’oggetto da analizzare, quando invece essa dovrebbe essere ben coscia che è lo sguardo stesso a costruire, semioticamente, l’oggetto.


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