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Palermo. Si presenta oggi “Il discorso di marca” di Gianfranco Marrone. Intervista all’autore
di Laura Guttilla

Si presenta oggi, alle ore 17, nell’ Aula Magna della Facoltà di Scienze della Formazione (via Pascoli 6, Palermo), “Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding”, l’ultimo libro di Gianfranco Marrone, docente di Semiotica dell’Università di Palermo.

Protagora diceva: “di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono”. Potremmo oggi, in quella che definiamo società dei consumi, sostituire la parola “uomo” con il lessema “marca”? A questa domanda tenta di rispondere l’ultimo libro di Gianfranco Marrone, Il discorso di marca (Laterza, pagg. 336), uscito qualche settimana fa.
Il libro analizza la marca e il marchio (da considerare come cose distinte) sotto la lente della semiotica, disciplina onnivora che però ha spesso trascurato il mondo del brand. Per Marrone, professore ordinario di Semiotica all’Università di Palermo e docente di Semiotica della marca alla Iulm di Milano, essa è invece “un’entità semiotica per eccellenza”.
Nel volume vengono analizzati tantissimi casi-studio: si va dalla Apple a Zara, passando per Bulgari, Chanel, Ferrarelle, Labello, Lacoste, Montblanc, Virgin (basta scorrere l’indice dei nomi…). Molti studi sono corredati dalle immagini di alcune tra le più significative campagne pubblicitarie. Inoltre – questa è una vera innovazione – il libro ha un sito internet di riferimento (www.ildiscorsodimarca.it), utilissimo per l’utente curioso ma anche per gli addetti ai lavori: da questo sito è possibile scaricare il primo capitolo del testo, visionare il materiale presente all’interno del libro e avere un elenco completo di tutti i brand analizzati, con i rinvii ai loro siti istituzionali. Anche il libro ha dunque un proprio progetto di branding, che lo inserisce nel circuito dei beni della conoscenza.

Siciliainformazioni.it ha cercato di capire qualcosa in più sull’argomento e sul “progetto di senso” che la marca realizza, intervistando l’autore.

Prof. Marrone, in un articolo pubblicato su Tuttolibri (inserto de “La Stampa”) nel novembre del 2006, recensendo un libro di Andrea Semprini, lei definì la marca in questa maniera: “è come il tempo per Agostino o l’arte per Croce, tutti sanno cos’è, conoscono il significato della parola e ne fanno quotidiana esperienza. Quando si tratta di definirla concettualmente vengono fuori un sacco di problemi e si finisce per non capire più nulla”. Dopo l’uscita del libro, si è pervenuti ad una definizione univoca o invece sono aumentati i dubbi?
“Direi entrambi: ho cercato di dare risposta ad alcuni interrogativi, ma altri sono sopraggiunti. La marca è un argomento di cui tutti parlano senza darne una chiara definizione. Ogni prospettiva disciplinare ne dà un’idea diversa. Per esempio, per il marketing, la marca continua ad essere considerata un’aggiunta di valore al prodotto, il cosiddetto capitale immateriale dell’azienda. I sociologi insistono invece sull’idea di marca come forma di socializzazione: l’idea della sociologia dei consumi è legata proprio alla costruzione dell’identità soggettiva che si plasma su quel “fare tribù” che ci accompagna nelle nostre esperienza di consumo quotidiane. Non per niente la tribù è entrata nello spot di una nota compagnia telefonica”. “Semioticamente invece – continua Marrone – la marca non contribuisce a creare in toto l’identità del gruppo e dell’individuo perché l’identità è un patchwork. Questo è il motivo per cui abbiamo stili di consumo differenti: l’identità è un processo in fieri a cui prendono parte tantissime istanza diverse”.
Allora cos’è la marca?
“Tecnicamente dovremmo dire che la marca è una forma discorsiva invariante, a partire da ‘soggetto’ (reale o simulato, non importa) che prende la parola e parla, ma anche di cui si parla. Questo ha profonde ripercussioni sul discorso tenuto dal marketing: dal punto di vista semiotico l’identità di marca è sempre l’identità percepita dai consumatori, mai una costruzione a monte imposta al pubblico”. Cioè quello che le case produttrici e chi lavora nella comunicazione dei prodotti vogliono farci recepire (l’identità di marca) arriva a noi, consumatori, che metabolizziamo il messaggio, lo decodifichiamo e lo rinegoziamo: “la marca è una negoziazione continua”, aggiunge Marrone, “discorso della marca e discorso sulla marca coincidono”.
Il problema della marca è legato soltanto alla vendita dei prodotti nel mercato?

“La marca come forma invariante possiamo rintracciarla in qualsiasi spazio sociale: la si ritrova nel discorso politico, nello sport, nello spettacolo… La marca funziona anche per quel che riguarda le località turistiche”.
Il libro si chiude con una frase forte: “tutto lascia pensare che l’ultimo […] movimento del discorso di marca abbia intenzioni molto precise: voler occupare il posto di Dio”. La società postmoderna è davvero assoggettata al culto della marca?
“Il discorso di marca è assimilabile al discorso religioso o sacrale, ma la marca non è un Dio nascosto: si manifesta per mezzo di segni necessari che la rendono riconoscibile, identificabile, replicabile. Esistono forme di rifiuto ma anche di fanatismo. Prendiamo ad esempio movimenti come quelli dei No-global o di Consumo-equo-e-solidale: nell’opporsi alle marche ne hanno ripreso i meccanismi. Il risultato? Andando al supermarket oggi troviamo l’angolo dell’Equo-e-solidale, anch’esso è diventato una marca. Questa, in termini semiotici, si chiama efficacia simbolica”.
Insomma sembra quasi che la marca sia diventata il simbolo della postmodernità…

“Insisto molto sul concetto di postmodernità nel libro, proprio perché mi sembra estremamente pertinente” chiosa Marrone. “Il postmoderno è un momento della modernità, non indica la sua estinzione. Mi piace ricordare un aneddoto, letto su un libro della storica Victoria De Grazia. Racconta di come i mercanti americani, visitando la Fiera Campionaria di Dresda intorno agli anni 30, rimasero colpiti da un senso di confusione: tutta la merce era esposta secondo un endemico disordine espositivo. La fiera era la rappresentazione dell’anima del commercio europeo, fatta di oggetti, beni, cose tutte disposte senza un ordine merceologico, senza alcuna tassonomia particolare”. “E gli americani, tornati in patria” conclude Marrone “per rimediare alla confusione di quell’inferno commerciale, inventarono la marca”.

FONTE: SiciliaInformazioni. Link all’articolo originale.


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